Immersione
Branchie appaiono su entrambi i lati della gola;
un liquido rende lentamente i miei piedi e le mie mani palmati
e poi inizia la danza a spirale
verso il fondo, verso la casa di roccia e sabbia, ricoperta d’alghe
che pulsa le sue diatomee
tra i miei denti
attraverso i fili dei miei capelli
attorno alle mie gambe – tracciando
ogni spazio in cui il respiro forse esiste –
e c’è ancora tempo per aggiustare le cose,
dimenticarsi dei piatti rotti, delle urla e delle porte sbattute.
Lo so, lo so, ti stavi solo sfogando
ma guarda dove ci ha portato,
indietro, come sempre, alla sorgente,
dove lei mi promise che l’avrei trovato.
Tutte le foglie diventano pesci,
e volteggiano, come un autunno sottomarino,
questo strato di terriccio marrone;
e lo sprofondare,
lo sprofondare?
Traduzione di Raphael d’Abdon e Lorenzo Mari
Temporale passeggero
Mi succedono cose di ogni tipo.
Sulla pelle compaiono scaglie, la fronte un terreno per formicai,
e i miei piedi si fanno duri, come se appartenessero a un cadavere.
I capelli cadono, ovviamente. E c’è
la mia mente.
Provo a leggere, ma le parole girano vorticose
nei piccoli mulinelli della pagina;
anche quando fanno le brave, mi sento come se stessi osservando un logaritmo complicato di numeri a caso.
Ne ho abbastanza, dico a voce alta, e vado in spiaggia –
forse è la distanza ciò che i miei occhi cercano.
Ma lì trovo pesci che precipitano dal cielo,
ed io che guardo in alto in un groviglio di alghe
increspature schiumose che mi girano vorticose attorno.
Quasi accecante,
la luce è diversa da quella alla quale sono abituata.
E mi chiedo se sto sognando,
di ritorno nell’emisfero sud,
e anche se ci sarà una risalita
dopo questo sprofondare.
Il prossimo segreto che mi sfugge è una femmina, di quindici anni o giù di lì.
In piedi, con la bocca socchiusa
non dice nulla.
Un scombro sulla mia pancia, che si dibatte.
Vedo il suo sguardo,
voglio allungare una mano e vedere se riesco a toccarla
ma all’improvviso non è piu’ lì, e io riprendo coscienza,
ancora distesa sulla sabbia umida, come un ceppo pesante.
Non rimane altro da fare che rotolarsi
e guardare il canaletto d’acqua
un solco dove giaceva il mio corpo.
Di ritorno a casa, mi preparo una tazza di te.
Il bollitore bolle. Prendo una tazza verde da un gancio, e ci spremo dentro un limone.
Finora, tutto ok. Lavo pentole e piatti,
utensili.
Butto l’occhio sui panni sporchi, rifletto.
La luce si offusca e una vampata di calore mi assale.
Una massa gigantesca di nuvole cariche di pioggia controlla il cielo.
Mi metto gli auricolari, alzo il volume,
ballo finché il mio corpo si sente quindicenne.
La pioggia batte contro la finestra. Chiudo le tapparelle.
Traduzione di Raphael d’Abdon e Lorenzo Mari
Da Cape Town a Strand, terza classe
Fisso le scarpe:
consumate, macchiate di pittura, alcune mostruose,
alcune sfondate, come bocche,
da tempo cadute nel silenzio.
Ma le mani parlano, e i corpi, improvvise con gesti protesi,
Accompagnano la risata.
Una ragazza legge un libro.
Sbircio il titolo – Ricongiungimento – il testo in inglese.
Mi dice che è difficile continuare a leggere;
Non per la lingua ma per il dolore della storia.
Siamo bianchi e neri in uno scompartimento per gente di colore,
esuberanti, fra spintoni, fra suoni di schiocco e gutturali.
Le offro una gomma; mi dice che devo cambiar treno.
Ci sono ipod e borse annidate in grembo,
Un accento britannico informa i viaggiatori
Dei cambi, degli arrivi.
Potremmo essere a Londra, New York o Pechino.
Nel treno successivo, attendo; nessun conforto dalla voce fuoricampo,
La luce del giorno gettata via rapidamente come bicchieri di carta nella pattumiera.
Adesso siamo al buio, sono sola con un uomo e la mia batteria è esaurita.
Si toglie gli auricolari, offre il suo telefono.
All’arrivo, cammina insieme a me, lentamente,
dicendo ‘lei di solito non viaggia in treno.’
Vengo abbandonata lì dolente – non molestata, non derubata, e ritrovata.
Traduzione di Silvia Accorrà
© dell’Autore